Corso di inglese per i docenti di UniCamillus: il prof. Rotatori spiega l’importanza della fonetica

Il Centro Linguistico di Ateneo (CLA) di UniCamillus promuove l’insegnamento e l’apprendimento dell’inglese. L’Università Medica Internazionale di Roma punta così a incentivare lo studio in autonomia della lingua, sia tra gli studenti, sia tra i docenti. Proprio per questo motivo infatti il professor Alessandro Rotatori tra ottobre e novembre 2023 terrà un corso di Pronuncia dell’Inglese Medico, specificamente dedicato ai docenti universitari.

Professore, quale scopo si prefigge il suo corso, che è di fatto il primo in Italia di questo tipo?

«Il corso è rivolto a tutti i docenti dell’Ateneo. Lo scopo è quello di migliorare la pronuncia dell’inglese, in particolare delle terminologie mediche. Nelle lezioni viene approfondito ogni aspetto che riguarda la fonetica del medical English: non solo i singoli termini medici e come si pronunciano, ma anche stralci di frasi e testi, tratti dalla realtà. Questo serve per migliorare sia il modo di parlare in inglese, in generale, sia per interfacciarsi meglio con gli studenti durante le attività accademiche in inglese, in particolare con i non nativi anglofoni».

Questo si inserisce nel contesto internazionale di UniCamillus, che ha nella multiculturalità una delle sue caratteristiche fondanti. Quali sono quindi le principali difficoltà riscontrate dai docenti nell’interloquire con persone non madrelingua o comunque anglofone, ma non provenienti da Stati Uniti o Gran Bretagna?

«Avere una base di fonetica inglese, britannico o americano, serve per poi riuscire a capire gli altri modelli, meno conosciuti o codificati. Molto spesso invece, purtroppo, la fonetica non viene approfondita a dovere, neanche a livello universitario. Uno degli aspetti che spesso i docenti riscontrano è, per esempio, il problema di comunicare con chi parla inglese con accento indiano. Eppure la varietà dell’inglese-indiano è una varietà standard, come l’americano o il britannico, ma non tutti sono portati a capirlo a causa dei suoni diversi rispetto a quello che si è più abituati a sentire. Instradare allora il docente intanto verso l’apprendimento e l’approfondimento dell’inglese britannico o americano, può portare anche a migliorare la comprensione, in una conversazione con uno studente indiano o di Singapore (un’altra varietà di inglese che si ritrova ormai molto spesso anche nei testi, ndr). Differenze e somiglianze si possono infatti cogliere meglio partendo sempre da un modello di base, di riferimento. Quindi in futuro, man mano che ci si abitua, si riuscirà a riconoscere quello che uno studente stranierò starà dicendo.»

Nella sua esperienza, dal punto di vista dell’apprendimento, oltre alle lezioni frontali, in che altro modo le persone possono esercitarsi e migliorare?

«Purtroppo la parte di fonetica troppo spesso viene tralasciata e quindi lo studente quasi sempre non sa neanche cosa potrebbe fare da solo, per esercitarsi. In realtà però ormai siamo circondati dall’inglese, quindi qualsiasi attività ne richieda l’impiego può andare bene. Io ai docenti-studenti del mio corso dico sempre di provare a ricercare nella vita reale tutti quegli aspetti di fonetica che studiamo a lezione. Per esempio, vedere 5 minuti di BBC e analizzare brevi segmenti di discorso può essere utile per riuscire a capire le diverse sfumature di quello che effettivamente il madrelingua ha detto. Bisogna incuriosirsi costantemente affinché si possano notare cose che magari durante il corso possono sfuggire».