Tubercolosi

Gli Obiettivi della Ricerca di UniCamillus per combattere la Tubercolosi

Strategie per combattere i ceppi resistenti

Due nuove strategie per combattere la Tubercolosi nei ceppi resistenti alle cure sono alla base delle nuove prospettive per la realizzazione di futuri farmaci, considerando che su questo fronte ci sono gravi ritardi. Il batterio della tubercolosi, che si trasmette per via area, colpisce nel mondo 9 milioni di persone e ancora oggi ne uccide quasi due milioni ogni anno, 500 in Italia.
Oggi, l’allarme dell’Oms riguarda soprattutto i nuovi ceppi resistenti alle cure: l’Mdr-Tb (multiresistenza) che prevede cure prolungate fino a due anni e assai costose (2000 dollari contro i 20 per la cura di prima linea di sei mesi) e la più pericolosa Xdr-Tb, ceppo super-resistente e praticamente incurabile. Per questo le nuove ipotesi di ricerca appaiono particolarmente significative e anche se negli ultimi anni vari ricercatori hanno percorso strade analoghe.

L'approccio alla tubecolosi

Si tratta di un approccio in parte differente rispetto agli attuali meccanismi dei farmaci anti-Tbc poiché l’irrompere dei ceppi super-resistenti ad ogni tipo di cura impone la scoperta di nuove strategie di attacco alla tubercolosi. Alcuni  ricercatori si sono focalizzati su di un enzima chiamato GlgE, essenziale nello sviluppo del batterio della Tbc, un batterio che il nostro organismo 9 volte su 10 “imprigiona” per tutta la vita senza conseguenze per noi. Due terzi della popolazione mondiale convive con questo batterio che il sistema immunitario controlla ma non riesce ad uccidere. La Tbc diventa attiva solo in alcuni casi, in particolare a causa della debilitazione, povertà, scarsa igiene (in pratica i PVS). Si intende concentrarsi sul meccanismo enzimatico attraverso cui il batterio della tubercolosi trasforma le due molecole di glucosio (trehalose) in molecole di zucchero più lunghe conosciute come alfa-glucani, veri mattoni essenziali per il mantenimento della strutura del batterio e per la sua proliferazione attraverso la divisione cellulare. GlgE sarebbe il terzo dei 4 enzimi coinvolti nel meccanismo che conduce alla formazione degli alfa glucani. E’ stato osservato che inibendo l’enzima GlgE, i batteri hanno accumulato una molecola tossica, quasi un veleno killer, che danneggia il Dna del batterio portandolo alla morte. Ciò è avvenuto sia in vitro che sui topi infettati. L’enzima GlgE si rivela anche un “bersaglio perfetto” per un futuro farmaco poiché non vi sono enzimi simili nell’uomo o nei batteri dell’intestino. 

L'altro metodo per sconfiggere la TBC

Appare particolarmente interessante questo filone di ricerca poichè è stata altresì osservata  una seconda modalità per uccidere il batterio della tbc, che riguarda la cruciale connessione tra questa nuova modalità di sintesi degli alfa glucani e un’altra via già conosciuta. E’ già stato provato che eliminando uno degli altri enzimi del primo processo che porta alla formazione degli alfa glucani, tale azione non ha provocato la morte del batterio; allo stesso modo rendendo inattivo un enzima (chiamato Rv3032) nella seconda modalità di sintesi dell’alfa glucano, non si è verificata la morte del batterio. Ma rendendo inattivi entrambi gli enzimi il processo diventa letale: in modo separato i singoli enzimi inattivati non provocano conseguenze, diventano killer solo se agiscono contemporaneamente. Infatti il batterio della tubercolosi ha bisogno di sintetizzare gli alfa glucani e dal punto di vista del batterio è impensabile che si possano eliminare contemporaneamente le due modalità che portano alla sintesi dell’alfa glucano. L’una o l’altra garantiscono la sopravvivenza. Se però si potesse creare un farmaco che riesce ad agire sia contro il GlgE che contro l’Rv3032, la combinazione sarebbe estremamente potente. Una tale terapia, tagliando i viveri al batterio, con ogni probabilità non lascerebbe la possibilità di sopravvivenza a batteri resistenti al farmaco. Un tale trattamento, inoltre, sarebbe utilizzabile anche per la lebbra, malattia legata ad un altro batterio simile al mycobatterio della tubercolosi. Una verifica clinica sembra oggi solo una questione di tempo e la UniCamillus, si propone di attivare un Dipartimento ad hoc che sviluppi tale ricerca.