21 marzo – Giornata Mondiale della Sindrome di Down: a che punto è il progresso terapeutico?

Ne abbiamo parlato con la Prof.ssa Cinzia Ciccacci, Docente di Genetica Medica presso l’Università UniCamillus

Il 21 marzo è una data significativa, e non solo per l’arrivo della primavera: si tratta, infatti, del giorno in cui cade il WDSD – World Down Syndrome Day, la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Anche chiamata Trisomia 21, la Sindrome di Down (o SD) è una condizione genetica in cui vi è la presenza di un cromosoma in più nel cromosoma 21, provocando conseguenze sia sullo sviluppo che sulla salute delle persone affette.

La data scelta per il WDSD non è casuale: si tratta, infatti, del 21mo giorno del terzo mese, richiamando così la trisomia 21. Osservata dalle Nazioni Unite dal 2012, ha come obiettivo una sensibilizzazione sociale a questo tema, per far comprendere la dignità e l’individualità delle persone affette da questa sindrome che, nonostante attualmente non possa essere curata, consente di vivere una vita di buona qualità nella società. Per questo, il WDSD ha come obiettivo un miglioramento dei servizi per queste persone, nel campo del lavoro, della scuola e della libera scelta.

In Italia, ad oggi, sono circa 40 mila le persone affette da SD, più o meno 1 bambino ogni 1200 nati. La sindrome può essere diagnosticata sia durante la gravidanza (tramite prelievo dei villi coriali o amniocentesi) che alla nascita, e provoca sia un ritardo nello sviluppo mentale che dei tratti del volto e del corpo peculiari (occhi a mandorla, pieghe nucali, orecchie basse e piccole, testa piccola, viso schiacciato, bassa statura e ipotonia muscolare). Inoltre, la SD determina un maggior rischio di sviluppare difetti cardiaci, problemi di tiroide, leucemia, anomalie del sistema immunitario: non a caso, l’aspettativa di vita è leggermente più breve rispetto a quella standard, attestandosi sulla media di 62 anni.

Si tratta di una condizione genetica, ma non ereditaria, e l’incidenza aumenta con l’età riproduttiva dei genitori.

Pur non essendo curabile, se si affronta la SD nel modo giusto e precocemente, con l’educazione e la riabilitazione, l’individuo che ne è colpito può trarre il massimo dalle proprie capacità cognitive, fisiche e sociali, arrivando a vivere una vita in salute e ricca dal punto di vista affettivo, scolastico e lavorativo. Non sono rari i casi di persone affette da SD che vivono in maniera completamente autonoma, svolgono lavori impegnativi e che affrontano una soddisfacente vita di coppia.

Le persone affette da SD sono consapevoli di avere delle peculiarità rispetto ai propri familiari, ma questo non deve rappresentare un motivo di discriminazione né tantomeno di stereotipi da attribuire: la differenza starà proprio nella serenità che la famiglia e la rete sociale trasmetteranno al bambino.

Proprio per questo, il tema del WDSD del 2024 è #EndTheStereotypes, la cui campagna mira a restituire dignità individuale a ciascuna persona con SD.

Ma quali sono le sfide più significative per affrontare la sindrome di Down allo stato attuale, e in che direzione va la ricerca per potenziali trattamenti terapeutici? Lo abbiamo chiesto alla Prof.ssa Cinzia Ciccacci, docente di Genetica Medica presso l’Università UniCamillus.

Quali sono gli attuali approcci diagnostici per rilevare la sindrome di Down durante la gravidanza e quali sono i loro vantaggi e le loro limitazioni?

«La sindrome di Down, conosciuta anche come trisomia 21, è una condizione genetica causata da un’anomalia cromosomica, nello specifico una copia extra del cromosoma 21. Durante la gravidanza sono innanzitutto i test di screening prenatali del primo trimestre che permettono di evidenziare la probabilità che un feto abbia la trisomia 21. Un’altra tecnica che viene sempre più utilizzata, spesso accoppiata agli screening prenatali, è la NIPT, una procedura non invasiva che permette di ricercare cellule fetali nel sangue della mamma con un semplice prelievo di sangue e quindi di analizzare le eventuali alterazioni cromosomiche presenti nel feto. Tuttavia tali test – sia gli screening prenatali che la NIPT –  non sono test diagnostici, bensì probabilistici. Per questo motivo nelle gravidanze a rischio in cui si evidenziano anomalie agli screening prenatali o a seguito di analisi NIPT, è poi necessario procedere con un test diagnostico. I test diagnostici, come ad esempio l’amniocentesi e la villocentesi, sono indagini invasive, ma permettono di confermare od escludere la condizione. Queste procedure sono generalmente considerate sicure quando eseguite da operatori esperti in ambienti adeguatamente attrezzati, ma comportano comunque un piccolo rischio di complicanze, compreso il rischio di aborto spontaneo.»

Qual è il ruolo della genetica nella comprensione della sindrome di Down e nello sviluppo di potenziali trattamenti o interventi terapeutici?

«La genetica ha un ruolo fondamentale nella comprensione della sindrome di Down e nell’identificazione di potenziali trattamenti o interventi terapeutici. Gli studi di genetica possono aiutare a capire i meccanismi che sottendono alla sindrome e, in particolare, a cercare di comprendere come l’espressione dei geni presenti sul cromosoma 21 – in eccesso nel paziente con la sindrome di Down –  possa determinare la disabilità cognitiva, o come i soggetti affetti possono sviluppare nel corso della loro vita determinate complicanze. Ad esempio, le persone con la sindrome di Down, oltre ad avere problematiche cardiache e una certa predisposizione alle infezioni polmonari, possono presentare problemi alla vista, all’udito, obesità e anche un rischio elevato di sviluppare la malattia di Alzheimer precocemente. Ad oggi non si conoscono ancora bene tutti gli aspetti e i meccanismi attraverso i quali i circa 300 geni presenti sul cromosoma 21 possono determinare il quadro fenotipico della condizione. Una migliore comprensione di questi meccanismi potrebbe aprire la strada per nuovi approcci terapeutici, ad esempio terapie geniche che potrebbero correggere o modulare l’espressione dei geni associati alla sindrome. Inoltre, la genetica permette anche di capire la severità del fenotipo malattia. Non tutti i pazienti hanno la trisomia completa: i pazienti con un fenotipo meno severo, generalmente, hanno l’alterazione cromosomica solo in parte delle loro cellule.»

Quali sono le sfide più significative che le persone con sindrome di Down e le loro famiglie affrontano nella gestione della condizione e nell’accesso alle cure e ai servizi?

«Le sfide che attendono le persone con sindrome di Down e le loro famiglie riguardano soprattutto la gestione delle comorbilità che possono comparire nella vita dei pazienti, come i problemi cardiaci, disturbi della tiroide e problemi gastrointestinali. Le persone con sindrome di Down possono avere bisogno di cure mediche specializzate e di monitoraggio regolare. L’aspettativa di vita di una persona con trisomia 21 è molto migliorata nelle ultime decadi, perché la medicina ha fatto molti progressi soprattutto nelle terapie e nella cura delle patologie cardiache che spesso affliggono i malati. Altre sfide che sicuramente devono affrontare riguardano le difficoltà nel mondo scolastico e del lavoro, in quanto non sempre sono presenti strumenti ed opportunità mirate a persone con tale condizione. È importante promuovere politiche inclusive, fornire risorse e servizi adeguati e sostenere la piena partecipazione e l’autonomia delle persone con sindrome di Down nella società.»

Quali sono i recenti progressi nella ricerca sulla sindrome di Down e quali sono le prospettive future per migliorare la qualità della vita delle persone affette?

«Gli studi sulla genetica della sindrome di Down hanno permesso una maggiore comprensione dei meccanismi molecolari sottostanti e delle vie patologiche coinvolte. Ciò ha aperto la strada allo sviluppo di terapie mirate che possono modulare specifici geni sovra-espressi. La ricerca sta esplorando terapie innovative per trattare la sindrome di Down, come la terapia genica. Queste terapie mirano a correggere gli squilibri genetici associati alla condizione o a modulare le vie patologiche coinvolte, con l’obiettivo di migliorare la funzione cognitiva e ridurre le comorbilità.»

Come può la comunità medica e scientifica contribuire a sensibilizzare il pubblico e ad affrontare gli stereotipi e le discriminazioni associati alla sindrome di Down?

«Superare gli stereotipi sulla sindrome di Down richiede un impegno collettivo a livello sociale, educativo e culturale. La comunità medica e scientifica può dare il suo contributo con attività di formazione e divulgazione. Bisogna fornire informazioni accurate e aggiornate sulla sindrome di Down alle famiglie, agli insegnanti e al pubblico in generale. È importante far comprendere che le persone con sindrome di Down non sono tutte uguali, le loro caratteristiche caratteriali e di salute sono variabili da individuo a individuo. Sarebbe auspicabile promuovere la conoscenza di tale sindrome, anche con programmi mirati nelle scuole. Credo che anche le rappresentazioni di individui con questa sindrome nelle pubblicità e nei programmi televisivi possano contribuire a smantellare gli stereotipi.»