La medicina rigenerativa: dal sogno di un naturalista “visionario” ai nostri giorni

a cura di Carmen Mortellaro, Docente di Nozioni di Malattie Apparato Odontostomatologico di UniCamillus

La medicina rigenerativa affonda le sue radici in conoscenze antiche: il fatto che alcuni tessuti siano in grado di rigenerarsi in modo autonomo era nota già nel IV secolo a.C. 

Aristotele, nel suo libro Historia Animalium, descrive per la prima volta la capacità delle lucertole e di altri rettili di far ricrescere parti del proprio corpo, come la coda.

Già nella mitologia greca si trovano animali dotati di capacità rigenerative. L’Idra di Lerna era un mostruoso serpente acquatico a nove teste. Se una delle sue numerose teste veniva tagliata, ne ricrescevano altre due nuove al suo posto; essa fu definitivamente sconfitta per mano di Ercole che cauterizzò il moncone delle teste mozzate. 

Oggi il nome “Idra” è stato dato ad un animaletto acquatico dal corpo cilindrico e sulla cui sommità si trovano numerosi piccoli tentacoli: quando questa porzione del corpo viene tagliata in breve tempo l’animale è in grado di farla ricrescere.

Un gruppo di interessantissime osservazioni fatte da Lazzaro Spallanzani il grande naturalista italiano del 700, sono quelle che concernono la rigenerazione di parti di animali (batraci, sauri, vermi), in particolare quelle che riguardano la rigenerazione della testa delle lumache, quando  insegnava al Collegio di Modena e poi di Pavia.

Egli amputò zampe ai rospi ed alle ranocchie, code alle lucertole, corna e testa alle lumache, osservandone la più o meno regolare riproduzione. Studiò metodicamente anche la rivivescenza dei rotiferi dallo stato di morte apparente, prodotta dal disseccamento del mezzo ambiente.

Benché egli non arrivasse ad interpretare il fenomeno, ne intuì l’alta importanza.

Troviamo i risultati della sue sperimentazioni nel Prodromo di un’opera  da imprimersi sopra le riproduzioni animali dato in luce dall’abate Spallanzani, Sacerdote della Congregazione della B. Vergine,- S. Carlo di Modena, e Professore di filosofia  nell’Università, e Collegio de’ Nobili.  In Modena MDCCLXVIII nella Stamperia di Giovanni Montanari con licenza de’ Superiori,

I numerosi  esperimenti, in gran  parte dimostrativi, ma di straordinario impatto scientifico, gli procurarono ammirazione pubblica e grande seguito nelle aule universitarie sempre gremite, ma anche molte invidie presso la comunità scientifica di allora.

Per questo lo Spallanzani fu vittima di  un’atroce calunnia, che alcuni malevoli colleghi, tra cui il protettore che lo aveva chiamato ad insegnare a Pavia, gli avevano fatto, denunciandolo alle autorità per appropriazione di materiali appartenenti al Museo di Storia naturale, al fine di aumentare la sua raccolta privata.

Tra il dolore e lo sdegno per la volgare mendace accusa, egli riuscirà a provarne la falsità ponendo fine alla maggior parte delle lotte personali, più o meno decorose, fra professori, in un periodo storico in cui le grandi ire ed i grandi odi non conobbero freni inibitori. 

Lo Spallanzani  poté continuare cosi  i suoi studi con nuovo entusiasmo, acquisendo una aumentata fama e grande rinnovata stima. 

A spingerlo  a queste ricerche fu certamente  la lettura delle osservazioni fatte dal suo amico, il naturalista ginevrino Bonnet insieme al francese Réaumur, sulla rigenerazione di porzioni del lombrico terrestre o delle zampe del granchio d’acqua dolce amputate.

Egli aveva visto come, amputando l’estremità cefalica di un lombrico, questa si riformava in uno spazio di tempo più o meno lungo ed in una forma del tutto simile alla parte amputata. Sullo stesso argomento abbiamo pubblicazioni  degli italiani Domenico Vandelli ed Antonio Vallisneri junior . 

Nel Prodromo troviamo il canovaccio degli esperimenti dello Spallanzani e  del materiale che sarebbe stato svolto nell’opera (opera che purtroppo non vide mai la luce ) e la sua trattazione  Riproduzione del lombrico terrestre; Riproduzioni sul lombrico d’acqua dolce a batello; Riproduzione della testa e di altre parti della lumaca terrestre e delle corna nel lumacone ignudo; Riproduzione della coda nella salamandra acquatica; Riproduzione delle gambe nella salamandra acquatica; Riproduzione delle mascelle nella salamandra acquatica e delle gambe nelle botte, rane, rospi ancor teneri.

A studiare la rigenerazione post-amputazione furono anche Guettard (1715-1786) ed il suo maestro Bernardo de Jussieu (1699-1777) i quali  poterono constatare che anche i polipi marini e le asterie presentavano lo stesso fenomeno.

L’importante intuizione dello Spallanzani fu che, se il taglio nell’animale da esperimento cadeva troppo lontano dalla testa, la cicatrizzazione avveniva ugualmente, ma il segmento non si nutriva e finiva col morire. “Tal forza (la rigenerativa) sembra che misuri i suoi gradi a tenore della lunghezza della parte tagliata.  Sicchè la natura sembra che abbia per iscopo di riparare unicamente la parte perdutasi e di non andare più in là”affermava nei suoi appunti di laboratorio.

Spallanzani con questa asserzione,  precorre la legge della morfoestesia, così chiamata dal Nollet, in base alla quale gli organismi tendono alla restituzione delle parti mancanti, cercando di riportare il mutilato alla forma primigenia.

Un altro terreno che egli riserbò alle sue interessantissime esplorazioni in materia fu la rigenerazione di parti delle lumache terrestri e del lumacone nudo dopo amputazione della testa di questi molluschi gasteropodi.  Perfino Voltaire volle sperimentare il fenomeno , anche se non ne rimase convinto. E l’Accademia delle Scienze di Francia nel 1768 nominò una Commissione composta dagli accademici Turgot, Lavoisier, Tenon ed Hérissant per riferire in proposito. Ma la Commissione confermò in tutto e per tutto la meravigliosa scoperta spallanzaniana. 

Carrière (1880) in studi successivi proprio sulla lumaca , scoprì il fatto, che qualora venga asportata una sola parte del cervello (gangli periesofagei) la rigenerazione può avere luogo, mentre al contrario la lumaca muore qualora questi gangli vengano asportati in toto .

Dopo lo Spallanzani, che con le sue ricerche dette al fenomeno biologico delle rigenerazioni un impulso notevole,  molti altri scienziati hanno lavorato in questo campo. Infatti negli ultimi vent’anni del secolo XIX esso fu metodicamente studiato ed interpretato da ricercatori, come Roux (1883), Driesch (1891 e Loeb (1892-93) ma l’abate di Scandiano fu un esploratore d’ eccezione in un tempo in cui la biologia e le scienze naturali, ancora bambine, si basavano quasi esclusivamente su teorie ,  sistemi,  analogie o sul solo raziocinio. Il suo studio si basava principalmente sulla  minuta esperienza e la scrupolosa  osservazione, consapevole che ogni argomentazione scientifica debba essere corroborata dai fatti. 

 I successivi studi sul regno animale evidenziano che pochi phyla possono competere con quello degli Echinodermi in quanto a capacità rigenerative e i fenomeni di rigenerazione sono a carico di svariate porzioni
Questa sorprendente capacità viene utilizzata per ricostruire diverse strutture come braccia, spine, appendici varie e organi interni, perse in seguito ad amputazione traumatica o autoindotta.

In alcune specie di stelle di mare e di ofiure, i processi rigenerativi vengono utilizzati anche per effettuare cicli di riproduzione asessuata, in cui l’esemplare adulto si divide in due parti e ciascun frammento rigenera poi la porzione mancante da dare origine alle nuove strutture rigeneranti. In aggiunta alle popolazioni di cellule staminali, gli Echinodermi sono anche in grado di utilizzare cellule reclutate dai tessuti adulti del moncone rimasto, come ad esempio i muscoli; dopo averle opportunamente elaborate, esse vengono riutilizzate per ricostruire i tessuti a livello della porzione rigenerante.


Da diversi anni al Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Milano vengono effettuate ricerche sulle capacità rigenerative degli Echinodermi. Il modello animale utilizzato negli esperimenti è Antedon mediterranea, un crinoide endemico del Mediterraneo, che ben si presta a questo tipo di studi: le sue dieci braccia sono infatti molto fragili e la loro auto-amputazione può essere facilmente indotta; il processo rigenerativo che segue può così essere studiato nel dettaglio in tutte le sue fasi.

L’utilità scientifica di questo curioso animale nostrano non si limita a questo; le sue notevoli proprietà rigenerative possono infatti interessare anche altre appendici esterne, come cirri e pinnule  e persino organi interni come la massa dei visceri offrendo così al ricercatore un’ampia gamma di fenomeni rigenerativi da poter studiare. 

La cospicua presenza e l’utilizzo abituale di cellule staminali durante la rigenerazione di questo crinoide offrono un utilissimo modello sui cui effettuare ricerche scientifiche che, in un futuro magari non troppo lontano, non si esclude possano aprire nuove prospettive e applicazioni anche nel campo della rigenerazione dei tessuti umani.

Abbiamo visto come la rigenerazione degli arti, straordinaria abilità di alcuni animali, è una caratteristica in grado di affascinare da sempre il genere umano.

Più volte gli scienziati hanno tentato di carpire i segreti delle specie che ne sono capaci e ora il Karolinska Institutet di Stoccolma, ha deciso di sfruttare i progressi della tecnologia per mappare il genoma del pleurodele di Waltl, un anfibio della famiglia delle salamandre, nella speranza di svelare il mistero.

Sono proprio le salamandre, infatti, gli animali che più di ogni altro hanno dimostrato la tendenza alla ricrescita di interi organi, comprese parti del cervello. Studiarle, però, è complesso, sia perché anche tra le salamandre esistono differenze rilevanti, sia perché hanno un lungo ciclo vitale che contrasta con l’allevamento in laboratorio. 

Per fortuna, grazie ad una gestione più semplice del pleurodele di Waltl, la nuova ricerca finalmente aggiunge il tassello mancante della mappatura del genoma, che risulta in questa specie endemica della Penisola iberica e del Marocco, ben sei volte più ampio di quello umano.

Un’abbondanza che si è sempre rivelata un ostacolo e che ha rappresentato una lunga sfida per gli scienziati e sottolinea come non siano tanto necessarie grandi quantità di tempo per il sequenziamento, quanto per la fase dedicata a ricreare il genoma dalle sequenze. Nonostante le difficoltà, il team ha individuato una famiglia di geni che potrebbe indicarci la via giusta per capire quali processi si nascondono dietro la rigenerazione di determinate parti del corpo.

Si tratta di un gruppo speciale di microRNA (piccoli RNA non codificanti) che nella salamandra è attivo anche negli individui adultiSi invoca giustamente prudenza, ma al tempo stesso ci si augura che monitorando i processi di rigenerazione delle salamandre, prima o poi si possano effettuare speculazioni utili per attivare meccanismi simili nei mammiferi. Insomma, non sappiamo se un giorno l’uomo sarà in grado di sviluppare capacità come quelle studiate, ma un primo importante passo in questa direzione è stato fatto.